Ricardo Piglia sosteneva che l’opera prima fosse la chiave per comprendere un autore. Che all’interno degli esordi fosse possibile trovare, comprendere, riconoscere tutto. È un’idea borgesiana, guarda caso, l’idea della prefigurazione. In realtà, forse, intendeva dire un’altra cosa, Ricardo Piglia. Che cosa intendeva dire? Qualcosa di meno categorico e risolutivo, probabilmente. Oppure intendeva dire proprio quella cosa, avere quel tipo di accezione, ma se superiamo la concordanza e approcciamo gli argomenti e le idee anche per contrapposizione, come si fa con i vini, allora I casi del commissario Croce, che non è la prima ma è l’ultima opera di Piglia, generata via Tobii e dunque attraverso lo sguardo (Piglia era malato di Sla e stava morendo), può essere considerato il libro più importante dello scrittore argentino. La raccolta di racconti che davvero contiene tutto.
(Il primo libro di Piglia, L’Invasione, è anch’esso una raccolta di racconti e include Il pianista, un racconto che sembra effettivamente portante nella teoria della narrazione proposta da Piglia negli anni successivi. Che volesse dirci questo, il nostro? Che non è l’opera prima a contenere tutto ma un momento dell’opera prima, magari l’incipit*?).
I casi del commissario Croce è un’opera che viene rivelata all’interno di Bersaglio notturno, romanzo del 2013. Emilio Renzi, alter ego di Piglia e personaggio ricorrente nell’universo pigliano, è l’annunciato autore del libro, “Finirai per scrivere I casi del commissario Croce” gli dicono a un certo punto del libro, “Non sarebbe male”, risponde Emilio Renzi. Lo stesso succede ad Arturo Belano, che firma più o meno segretamente 2666, l’ultimo libro di Roberto Bolaño. Si può dire, insomma, che gli ultimi libri di Ricardo Piglia e di Roberto Bolaño sono emessi dal loro stesso universo narrativo, che sono scritti da due personaggi, doppelgänger possibili che producono oggetti extrareali, nient’altro che hrönir in grado di bucare il sistema e mostrare la liquidità della relazione tra realtà e finzione.
Com’è lunga l’ombra del cieco.
I casi del commissario Croce, proprio come 2666, è un libro che non dovrebbe esistere, in realtà.
Gli scrittori propriamente detti erano quasi morti e stavano lasciando il proprio corpo, divenuti meri medium, sono stati occupati da due dei loro personaggi, personaggi che come esito dell’incursione hanno restituito a questo lato due oggetti, in questo caso due libri del tutto alieni, nel senso letterale di libri del tutto altrui.
I casi del commissario Croce racconta gli argomenti che hanno maggiormente interessato l’opera di Ricardo Piglia: i limiti del linguaggio, la figura del lettore-detective, il tessuto social-narrativo, l’origine e le ramificazioni possibili di una storia, la narrazione come atto politico-sovversivo, la relatività insita nel concetto stesso di verità (la verità per chi?), il contatto incessante tra realtà e finzione, il superamento della relazione vero-falso, l’azione connaturata nell’esercizio dell’utopia.
L’opera di Ricardo Piglia mi sembra del tutto indispensabile per chi abbia davvero voglia di relazionarsi con uno sguardo decentrato. Il suo corpus narrativo è orientante, originale e coraggioso.
I casi del commissario Croce è un ottimo libro per cominciare a conoscere Ricardo Piglia, nonostante non lo abbia scritto davvero Ricardo Piglia.
Con i libri di Ricardo Piglia possiamo avvicinare una teoria del marketing, una teoria della comunicazione politica, una teoria della lettura e della scrittura, una teoria del linguaggio, una teoria della filosofia, una teoria della storia, una teoria…]
* Ci sono diversi modi di raccontare questa storia.