ULTRALETTURA UNO

Ultralettura

Che cos’è la forza? Il dizionario dice: “qualsiasi causa capace di modificare lo stato di quiete o di moto di un corpo; se applicata a un corpo non rigido ne causa la deformazione”. Dunque la forza è una causa che produce un effetto. Approfondiamo un po’ e scopriamo che la forza è anche qualcos’altro. Cito, ancora: “esplicazione di mezzi o metodi coercitivi”. La forza, dunque, è un elemento che sovverte un equilibrio oppure uno stato in maniera più o meno naturale.
L’altra notte ho beneficiato di una reificazione del concetto di forza. Ecco la scena: una macchina stazionava accanto a un’altra macchina ed entrambe le macchine erano davanti alla sopraggiungente macchina sulla quale viaggiavo. Da una delle due macchine è uscito un tizio con in mano una spranga. Il tizio-spranga si è messo a insultare e minacciare il guidatore dell’altra automobile. Il guidatore dell’altra automobile era impossibilitato a uscire dall’autovettura perché il tizio-spranga glielo aveva impedito parcheggiandosi a pochi centimetri dal suo abitacolo. L’aggredito se ne stava seduto a sperare che questo signore (italiano, casomai qualcuno se lo chiedesse) non prestasse fede alle proprie intimidazioni (ti taglio la gola). Ricapitolando: un tizio in piedi con una spranga minaccia ad alta voce un tizio seduto e senza spranga che non può uscire dalla macchina. La faccenda è durata trenta, quaranta secondi. Il tizio-spranga ha minacciato-insultato un altro po’ il tizio-no spranga e poi gli ha intimato di andarsene, il tizio no-spranga non se l’è fatto ripetere due volte. Nessuno si è fatto male, per fortuna.

Ma eccola qui, la forza.
Un altro esempio di forza la fornisce L’Iliade. O meglio, la fornisce la lettura dell’Iliade di Simone Weil.

Il vero eroe, il vero argomento, il centro dell’Iliade, è la forza. La forza adoperata dagli uomini, la forza che piega gli uomini, la forza dinanzi alla quale si ritrae la carne degli uomini. L’anima umana vi appare continuamente modificata dai suoi rapporti con la forza: travolta, accecata dalla forza di cui crede disporre, si curva sotto l’imperio della forza che subisce. Chi aveva sognato che la forza, grazie al progresso, appartenesse ormai al passato, ha voluto vedere in questo poema un documento; chi sa discernere la forza, oggi come un tempo, al centro di ogni storia umana, vi trova il più bello, il più puro degli specchi.
La forza è ciò che rende chiunque le sia sottomesso una cosa. Quando sia esercitata fino in fondo, essa fa dell’uomo una cosa nel senso più letterale della parola, poiché lo trasforma in un cadavere. C’era qualcuno, e un attimo dopo non c’è nessuno. E un quadro che l’Iliade non si stanca di presentarci.

La forza non appartiene al passato. La forza è al centro delle relazioni umane e di quello che definiamo “progresso”. La democrazia stessa, il cuore socio-politico della cultura occidentale, è un elogio della forza: la forza della maggioranza.

Prendiamo Fedez. Così, d’improvviso. Un artista che ha l’aria di avere invertito completamente fine e mezzi. E che per sua stessa ammissione è diventato “ciò che ha sempre odiato”. Fedez beneficia di una mutazione che deriva dall’applicazione del concetto di forza e, per esempio, rivendica la quantità di dischi che vende come se fosse il punto della questione. Un discorso non casuale. Perché in effetti quello è il punto, è la metrica del nostro mondo. Fedez è partito da Rozzano ed è arrivato qui, dice. Qui dove? Qui, in una foto dove siede per terra accanto alla sua nuova macchina. Fedez è forte perché vende tanti dischi e guadagna tanti soldi. Fedez, grazie alla forza, è bravo. Senza – magari – essere bravo per davvero (ma non conta nulla).

Pensiamoci quando celebriamo qualcuno perché riscuote successo o detiene prestigio. Frasi come “Vorrà pure dire qualcosa se vende”, “Pubblico sovrano”, “Si vede che piace”, “Tanti like”, “Il cliente ha sempre ragione”, eccetera. Se accettiamo l’assunto, accettiamo il cortocircuito all’interno del quale la forza prospera e si moltiplica: avere successo, entrare in competizione, vincere rispettando questo genere di metriche: non quelle della produzione ma quelle della distribuzione. In altre parole: manifestare forza.

L’abbiamo visto, la forza era già presente nell’antica Grecia, ovvero in Asia, e poi è esplosa grazie agli europei, che l’hanno applicata in abbondanza. Con il metodo coercitivo Colombo e gli spagnoli hanno generato gli statunitensi, ovvero europei che hanno massacrato e colonizzato i nordamericani, i mesoamericani e i sudamericani, prima di generare al di qua e al di là dell’Atlantico l’Occidente che ha massacrato e colonizzato gli africani, i mediorientali e gli asiatici.
La nostra società affonda le proprie radici nella forza. La nostra società è in commistione con il concetto di forza.

Il concetto di forza viene applicato persino alla lettura. È la bizzarra figura del lettore forte. Ovvero il lettore che legge tanto. Un lettore legge tanto, pare, se legge un libro al mese, ossia 12 libri all’anno.
Perché si dice lettore forte? E perché un lettore diventa forte su base quantitativa? Leggere tanto significa leggere 12 libri all’anno? I nostri antenati leggevano e rileggevano esclusivamente lo stesso libro per tutta la vita. Erano lettori meno forti? E appunto, la rilettura? Come si decide se una lettura e dunque un lettore è forte? La forza si misura solo con i numeri – meccanicamente – oppure può essere contestualizzata seguendo fattori diversi e successivamente venire descritta e infine essere raccontata?
Il concetto di lettura forte è da rifiutare proprio perché implica un’idea, quella di forza, che cosifica gli uomini, come ha suggerito Simone Weil.

E allora proviamo a spostare l’asse del discorso e cominciamo a parlare di lettura in modo diverso. Ho”inventato” il termine ULTRALETTURA (eccezionalmente in maiuscolo per questa sua prima apparizione).

Che cos’è l’ultralettura? È un gesto che ha 5 caratteristiche.

È atemporale perché mette in relazione le narrazioni già fruite (non solo sotto forma di libri, come vedremo) e perché dialoga con il futuro, con le narrazioni di cui fruiremo in futuro, l’ultralettura è fuori dal tempo e si manifesta prima e dopo l’atto di leggere.

È multispaziale perché è in grado di muoversi sulla scala e sulle superfici dei significati di un testo, perciò è tendenzialmente lenta – l’ultralettura legge e rilegge sé stessa – ma senza che la lentezza diventi una qualità “a priori”.

È esperienziale perché la conoscenza rafforza l’esperienza così come, viceversa, la mancata conoscenza consente l’accesso a nuove zone.

È oltrelibro perché l’atto di leggere ha ormai superato l’oggetto libro ed è possibile fruire di narrazioni attraverso serie televisive, film, dischi, politica, opere teatrali, pubblicità, status, dati, videogiochi, immagini, chat, forum, grafici.

È edonista perché leggere dovrebbe innanzitutto piacere o ancora meglio, leggere dovrebbe essere una delle forme della felicità (cit.).

MANIFESTO DELL’ULTRALETTURA

Atemporale

Una delle migliori definizioni di atemporalità nell’ultralettura è contenuta in un testo che si intitola Kafka e i suoi precursori, all’interno di Altre inquisizioni. Lo ha scritto Borges.

Nel vocabolario critico, la parola precursore è indispensabile, ma bisognerebbe purificarla da ogni significato di polemica o di rivalità. Il fatto si è che ogni scrittore crea i suoi precursori. La sua opera modifica la nostra concezione del passato, come modificherà il futuro. In questa correlazione non ha alcuna importanza l’identità o la pluralità degli uomini.

Il lettore – l’ultralettore – si inserisce all’interno di una piega del tempo e lo altera. Ogni volta che leggiamo – sembra suggerirci Borges – sollecitiamo l’interpretazione a molti mondi e la lettura diventa un punto di diramazione. Non solo: le ultraletture si mettono a dialogare e generano Altro. Altro che emette tempo e spazio. Il libro che stiamo leggendo oggi sta scambiando informazioni con un libro che leggeremo tra cinque anni, che non è ancora stato scritto, e in qualche modo ne sta già assorbendo i significati. E ancora: lo stesso libro che stiamo leggendo oggi, domani sarà un altro libro.
Ricardo Piglia, altro grandissimo, diceva che “leggere significa associare”.

Multispaziale

Ogni testo ha la propria profondità. Per capire come muoversi tra gli strati di un racconto mi rivolgo ancora a due riferimenti come Borges e Bolaño, perdonate la ridondanza.

Come tutti i racconti di Borges, [L’Aleph] è costruito in una maniera esemplare. Vale a dire che racconta una storia, o due storie, ma racconta anche come si costruisce una storia o qualsiasi storia. Nell’Aleph abbiamo la storia d’amore fra Borges e Beatriz Viterbo, poi c’è la morte di Beatriz, nel fiore della gioventù, appassionata, superba, affascinante, che oltretutto muore lasciando Borges con un palmo di naso perché lui non riesce mai ad averla in nessun modo. La prima parte è purissima, nella seconda c’è frustrazione, morte, agonia, e c’è un amore non corrisposto. Poi c’è la terza storia: come Borges cerca di far rivivere nei gesti quotidiani il ricordo di Beatriz, e ci riesce andando a visitare una volta l’anno la sua casa. Quarta storia: l’apparizione di Carlos Argentino Daneri, cugino di Beatriz e la sua successiva amicizia con Borges. Poi viene la quinta storia, e ormai non è più questione di Borges né di Beatriz Viterbo, ma di Daneri e dei suoi tentativi poetici. Sesta storia segreta soggiacente: Carlos Daneri come una satira di Pablo Neruda e del suo tentativo di creare un’opera d’arte totalizzante (in quel periodo Neruda stava scrivendo il canto generale). Daneri è, diciamo, ritratto speculare e assolutamente infernale di Neruda. Settima storia: la realizzazione di Daneri nell’Aleph. Borges scende e contempla L’Aleph, e diciamo che questa storia è il nucleo principale del racconto. Ottava storia: vendetta dell’innamorato rifiutato, ergo Borges, sul cugino, che probabilmente aveva avuto una relazione carnale con Beatriz Viterbo. Ultima storia: distruzione della casa, che porta con sé la distruzione dell’Aleph, e una nota finale sui destini letterari di Borges e di Carlos Daneri: Daneri vince un secondo premio a un concorso di poesia e Borges resta a bocca asciutta. Insomma, in un racconto di dieci pagine ci sono già dieci storie, mi dici come cazzo si fa a scrivere un romanzo di oltre seicento pagine con una sola storia?

Non tutti i testi sono l’Aleph di Borges, d’accordo. Ma l’ultralettore vuole muoversi dentro una storia, muoversi dentro gli spazi come dentro il tempo (vedi sopra). Scalare i significati, toccare una narrazione, prenderne le misure, arrampicarsi, scivolare giù, aprire tutte le porte e riservarsi il proprio tempo. Perché l’ultralettura è rilettura, non è un contest, il celolunghismo da quantità-forza lo abbiamo rifiutato, se guardi nel cestino trovi il pallottoliere.
È questa l’unica libertà – la più importante – a cui possiamo associare l’idea di lettura. La libertà di sapersi muovere all’interno di un testo. Non c’è posto per gli slogan retorici e nati esausti tipo “leggere è libertà” oppure “leggo per legittima difesa” oppure “leggo perché X”. Leggere non è libertà. Leggere è decodificare un sistema di simboli convenzionali e non serve a nulla. Leggere non dovrebbe essere difesa, semmai attacco. Ma non è nemmeno quello. L’unica semplificazione accettabile è “leggo perché mi piace”.

Esperienziale

I millennial spendono volentieri i propri soldi per fare esperienze piuttosto che per acquistare prodotti o servizi. Dovrebbero essere tutti potenziali ultralettori, i millennial. Perché l’ultralettura è un’esaltazione dell’esperienza. Se leggiamo Realismo capitalista e subito a seguire Inventare il futuro ci rendiamo conto di stare facendo un’esperienza, un percorso, di essere all’interno di un discorso. Se seguiamo, conosciamo e apprezziamo Noam Chomsky e stiamo leggendo il suo ultimo libro oppure la sua ultima intervista, lo stiamo facendo in profondità. Ma l’esperienza si sviluppa verticale e dunque si trova nascosta negli abissi come esposta sul pelo dell’acqua. Approcciare la letteratura russa, i beat, Bertrand Russell oppure gli idealisti oppure la letteratura sci-fi o quella fantastica, senza preconcetti, è un’altra esperienza, un’altra apertura, un altro parallelepipedo di spazio-temporalità da mettere in cantina (è in cantina che crescono gli Aleph).
L’ultralettura partecipa al viaggio e lo guarda da vicino.
L’ultralettura ha sempre un accesso orizzontale e uno svolgimento verticale.

Oltrelibro

Una delle serie televisive migliori viste nell’ultimo periodo si intitola The Oa ed è un prodotto Netflix. Dentro ci ho trovato Rosemary Altea, Borges (non sono fissato; o meglio: sono fissato ma questa volta la citazione era davvero enorme), Jack London, i “cinque movimenti” della medicina cinese, l’elezione di Trump, la cardio-zumba e Omero.
Dentro, quindi, ci ho trovato televisione popolare, libri, attualità politica, avanguardia fitness e folklore orientale. Ce li ho trovati io. Ma mica perché ho letto tanti libri.
Le narrazioni si spostano da sempre. Pensiamo al ruolo del cinema nel novecento, diventato quello che era il romanzo nell’ottocento. O alle serie televisive di oggi. I libri non hanno alcun diritto di prelazione sulle storie.
Film e serie televisive citano libri e viceversa, non è una novità, e non è una novità che altre forme di narrazione come videogiochi, pubblicità, marketing e dischi omaggino storie dal formato differente. Le narrazioni di cui avevo già fruito (via libro o altro medium) hanno dialogato e si sono relazionate con la serie televisiva, io mi sono mosso a piacimento all’interno di The Oa e ne sono uscito con un’esperienza decisamente appagante. Mi sono sentito in qualche modo attivo. Non ho soltanto subìto la storia, come capita – in genere – con il medium televisivo, vi ho partecipato.
Ricordo un analogo stato d’animo dopo la prima stagione di True Detective e in particolare pochi secondi dopo il finale, quando, destandomi da una sorta di lunga immersione e con accento archimedeo esclamai: Dante Alighieri!
Gli audio-libri e i podcast, oggigiorno, hanno sdoganato senza dirlo l’orientamento oltrelibro. Come lo hanno sdoganato da decine di anni i film.
Del resto, ultraleggere significa imparare ad applicare un gesto che per molti aspetti conosciamo già.

Edonista

Questa è facile. Leggere deve piacere. E, come abbiamo visto, anche se non piace leggere in un certo senso non cambia nulla.

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