ANTONIO DI BENEDETTO | ZAMA

Antonio Di Benedetto Zama

La faccenda comincia ad Ancona a bordo di una accaldatissima Yaris grigia in attesa di guadagnare lo stomaco della nave che ci caracollerà passaggio ponte fino a Igoumenitsa, agosto 2013. Il primo libro della vacanza ha qualcosa, un’emozione, e il primo racconto del primo libro della vacanza è una sorte di esponente.
Sensini è il primo racconto di Chiamate Telefoniche, raccolta di Roberto Bolaño, Adelphi, il libro che ha aperto un’estate particolarissima, tra un epilogo e una rincorsa, all’ombra del Pelio.

Sensini parla di scrittori e scrittura, come spesso in Bolaño, e Luis Antonio Sensini, che in Chiamate Telefoniche è l’autore di Ugarte, «burocrate del Vicereame del Rio de la Plata alla fine del XVIII secolo», nella realtà si chiamava Antonio Di Benedetto, il quale, in meno di un mese, nel 1956, scrive e pubblica Zama, romanzo che racconta tre episodi della vita del funzionario Don Diego de Zama, spalmati in nove anni e ambientati in Paraguay alla fine del XVIII secolo.

Bolaño non ha mai celato le proprie simpatie letterarie – nondimeno le proprie antipatie – e di Antonio Di Benedetto disse: «A mio parere è uno dei più grandi scrittori latinoamericani», e di Zama che fosse «uno dei migliori romanzi mai scritti in Argentina».

Ecco, mi è sembrato del tutto normale, a distanza di undici mesi, leggere Zama, Edizioni Sur, e interrogarmi a proposito dei viaggi d’andata.

Quando ero piccolo per Bellaria Igea Marina funzionava che ad andare non si arrivava mai ma a tornare era un attimo.

E dunque che Zama, dedicato alle «vittime dell’attesa», nella figura dello pseudobiblion Ugarte, sia arrivato a me a bordo di una nave d’andata che ha impiegato diciassette ore per colmare Adriatico e Ionio è come quando unisci i puntini e arrivi al puntino dove lo capisci, il disegno.

Certo, per Zama la sospensione è di tutt’altro tenore: sentimentale, economica e d’onore.

Mica un viaggio per andare a mettersi il costume.

Ma, chissà, il mistero dell’attesa è proprio questo essere tautologicamente e indifferenziatamente il momento tra qualcosa e un altro qualcosa, una sorta di limbo, di interruzione.

Ecco perché Zama è un libro che serberemo, come le attese della nostra vita, (ci ricordiamo anche l’ultima coda in posta, ammettiamolo), e lo mitizzeremo, come fossimo novelli Don Diego de Zama, accanto a Marta, ad attesa risolta.

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