CINQUE SCRITTORI LATINOAMERICANI CHE SI SONO SUICIDATI

suicidio racconti
per ogni ponte c'è una era pre e una era post Moccia.

Si avvicina il Natale, amici.

[paura, eh?]

E allora, dico: perché non parliamo dell’argomento natalizio per antonomasia: i suicidi?

Del resto, già al principio del diciassettesimo secolo John Donne scrisse il Biathanatos, una apologia del suicidio, azzardando la seguente: Cristo non morì crocifisso ma per una volontaria emissione dello spirito.

Quindi a Natale, secondo i johndonniani, celebriamo la nascita di un suicida.

Insomma, eccovi cinque scrittori lat lit morti suicìt.

REINALDO ARENAS

Raccontiamo oppure sentiamo raccontare spesso di quell’aurea mitica e molto latinoamericana che hanno le rivoluzioni, dove il popolo si desta, lotta, conquista.

Reinaldo Arenas, cubano, è il genere di persona si cui non parliamo mai, il genere di rivoluzione che infiliamo sotto il tappeto.

Nato nel 1943, morto nel 1990 a New York, dove viveva esiliato e umiliato per fuggire alla persecuzione del regime di Fidel Castro, lo rammentiamo nel 2001, quando un giovane e misconosciuto Javier Bardem riceve la prima nomination all’Oscar per Antes que anochezca, film tratto dalla biografia di Reinaldo Arenas, scrittore omosessuale.

Reinaldo Arenas, Prima che sia notte. Autobiografia, Guanda, 325 pagine

FRANCISCO “PACO” URONDO

Amante di attrici, poeta e giornalista argentino. Geurrigliero, specialmente. Combatte nei Montoneros, costola armata della sinistra peronista nella decade settanta.

Paco guida la macchina, anno del Signore 1976, una Renault 6 azzurra, a bordo, oltre a Paco, Alicia Raboy, compagna dello scrittore, la loro figlia di un paio d’anni e una guerrigliera conosciuta come “La Turca”.

Al potere c’è il dittatore militare Jorge Rafael Videla e per i peronisti le storie sono tesissime.

Incorciano una Peugeot della Polizia e inizia lo scontro a fuoco, Paco accelera, tenta la fuga, gli sbirri non mollano, sparano, dopo un semaforo la Renault di Paco rallenta, è ferito, dice alle donne Sparate voi, dice Io ho preso la pillola e comincio a non sentirmi niente bene. La figlioletta gli risponde Papà, perchè lo hai fatto?

Alicia Raboy riesce a scappare, in braccio la figlia.

La pillola era cianuro, a Paco lo finiscono con due colpi in testa.

Nel 2011 nuove indagini hanno stabilito che Paco non si è calato alcun cianuro e che millantò per permettere a compagna e figlia di scappare.

Non ci sono opere di Francisco “Paco” Urondo tradotte in Italia.

ANDRÉS CAICEDO

Antitesi di Gabriel García Márquez e del realismo magico, colombiano, nasce nel 1951 e si fionda in gola 60 pastiglie di barbiturici nel 1977, a 25 anni.

Nella sua opera ¡Que viva la música! (Viva la musica!, Edizioni Sur, 229 pagine) afferma che vivere più di 25 anni è una vergogna.

Troppo indifeso per essere hipster o troppo hipster per essere indifeso, un po’ Kurt Cobain e un po’ Allen Ginsberg, rappresenta una generazione che viene cannibalizzata dalla precedente, anziché cannibalizzarla: l’allegoria di un figlicidio.

L’opera di Caicedo sta influenzando diversi scrittori latinoamericani contemporanei, guarda caso.

HORACIO QUIROGA

La vita di Horacio Quiroga è tipo quella di Carlos Gardel: allucinante.

Nasce a Salto, in Uruguay, l’ultimo giorno del 1878, vede il suo patrigno uccidersi, scappa a Parigi, torna mortificato dall’Europa e con una barbona che non taglierà mai più, uccide accidentalmente il suo migliore amico mentre pulisce la pistola che sarebbe servita a questi per battersi a duello con un critico dalla penna lunga, vive nella selva, insegna, si innamora di una sua alunna adolescente, la sposa, fanno due figli, lei si uccide, si innamora di una compagna di classe della figlia, la sposa, torna a vivere nella selva, si ammala, la seconda moglie lo molla in mezzo alla selva, si beve un bicchiere di cianuro nell’Hospital de Clínicas de Buenos Aires.

E in tutto questo riuscirà a farsi disprezzare da Borges.

Di Horacio Quiroga consiglio Racconti d’amore, di follia e di morte, Nobel, 184 pagine, anche in formato elettronico.

LEOPOLDO LUGONES

Lugones, invece, è stato uno dei maestri del Maestro, di Borges.

In Italia non se lo fila (quasi) nessuno, forse per via di certe simpatie conservatrici e filofasciste manifestate negli ultimi anni di vita.

Padre del racconto metafisico e fantastico che farà le fortune della generazione letteraria seguente – Lugones nasce nel 1874 – è stato socialista e massone e, sempre e comunque, oppositore dell’antisemitismo.

Ha circumnavigato i poli della coscienza sociale e civile nel contesto argentino di inizio novecento caratterizzato da fortissima immigrazione e inevitabili connubi di nuove idee politiche, ha presumibilmente partecipato elle elezioni del 1912, le prime a suffragio universale maschile e segreto, vinte da Hipólito Yrigoyen.

Nel 1938 brinda con whisky al cianuro, ufficialmente per “delusione politica”.

Leopoldo Lugones, Racconti fatali, Nova Delphi Libri, 176 pagine.

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